Sfatiamo una favola: la Mortadella non è mai stata un prodotto contadino

Il laboratorio di un antico salsamentario bolognese

Le origini della mortadella si perdono fra le pieghe dei secoli. Se è vero, che molto probabilmente risalgono all’epoca romana o addirittura gallica, ci troviamo di fronte a una delle specialità alimentari italiane ed europee con la maggiore anzianità a servizio del palato dei buongustai. È la stessa che dalle profondità della storia è giunta fino a noi quasi intatta nella sua essenza più intima, pur attraverso le inevitabili operazioni di restyling e lifting avvenute nel corso del tempo e legate all’evoluzione dei gusti.

Prima di cercare di ripercorrere il lungo cammino della mortadella Bologna conviene fare subito un po’ di chiarezza e di sbarazzare il campo da tutte queste favole e inesattezze che continuano a trovare ospitalità in scritti di circostanza, giornali, guide gastronomiche trite e ritrite, opuscoli pubblicitari e in quel mare magnum della comunicazione elettronica che è internet.

Fra gli abbagli più comuni e reiterati c’è quello secondo cui la Mortadella avrebbe avuto origini agresti. Scrive al riguardo Giorgio Gazzotti (ll Paradiso dei golosi, in “ER”, n.3/2000): “cibo contadino per eccellenza, da tempo…ha conquistato l’onore delle tavole più altolocate”. Semmai è vero esattamente il contrario: da alimento nobile e pregiato fino all’inizio dell’8OO (costava tre volte il prosciutto) si è andato via via “popolarizzando” e ha allargato il suo consumo a tutti gli strati sociali. Senza contare che fino alla metà del secolo XVIII era severamente proibito fabbricare la Mortadella al di fuori della città di Bologna per non sfuggire allo scrupoloso controllo che l’Arte dei Salaroli esercitava su tutti i prodotti in quanto titolare dell’esclusiva di fabbricazione. Prodotti che venivano poi muniti del sigillo della corporazione, una sorta di marchio di garanzia col quale viaggiavano per l’intera Europa e, dal sec. XVII, anche in America. Del resto, nessun “contadino” si sarebbe mai sognato di fare le Mortadelle, non tanto per il divieto imposto dalle autorità, ma perché si trattava di una lavorazione estremamente raffinata di cui non conosceva i segreti e la tecnologia. A questo proposito è bene sgomberare subito il campo da un errore commesso da quanti ritengono che la Mortadella sia un salume fatto cuocere a vapore o anche in acqua (come per Il prosciutto cotto) o bollito oppure salato e lasciato stagionare come altri insaccati o addirittura affumicato. Nulla di tutto questo. Si tratta di un salume che richiede una cottura molto lenta in apposite stanze per la stufatura ed esige la disponibilità di mano d’opera altamente qualificata, che fino all’800 proveniva in genere dall’Appennino modenese.

Nelle case rurali delle campagne bolognesi con le carni di maiale si preparavano esclusivamente i salumi più rustici: salame, coppa di testa, salsiccia, pancetta, ciccioli, cotechini e anche prosciutti, un tempo considerati un prodotto abbastanza ordinario, ben diversamente da quanto si verifica oggi (ma in passato era salatissimo). Questi sono i salumi veramente “contadini”, non la Mortadella. La quale mortadella non è neppure un insaccato “umile”, come si ostinano a scrivere in tanti. Forse perché nel secolo scorso, grazie al suo prezzo abbordabile, era diventata per le classi popolari l’alimento più comune per sfamarsi. Ma se si va indietro di nemmeno due secoli mangiare Mortadella era un privilegio dei ceti più benestanti.