Trionfi di Mortadella per l’arrivo del nuovo Cardinal Legato
L’arrivo a Bologna del nuovo Cardinal Legato destinato dal Papa a reggere la città ha sempre rappresentato una formidabile occasione per l’allestimento di eccezionali imbandigioni e per sfoggiare le più ricercate specialità della tradizione gastronomica bolognese, ovviamente accolte con grande entusiasmo dall’illustre ospite e dal suo seguito. II cibo infatti ha sempre rappresentato un’arma vincente per accattivarsi simpatie, stringere alleanze, superare diatribe, vincere la bellicosità dei nemici. In particolare, la Mortadella che si poteva gustare in tutta la sua fragranza e freschezza all’ombra delle Due Torri.
Il Legato papale neo-eletto veniva accolto dai rappresentanti del governo cittadino e del ceto nobiliare ai confini del territorio bolognese ed era quasi sempre trattenuto a tavola in una villa di campagna, ospite del Senato o di qualche illustre famiglia cui premeva accattivarsene il favore e gloriarsi di avere avuto ospite il porporato, in genere dotato di solide credenziali e, non si sa mai, destinato ad assurgere a più alti onori nell’ambito della curia romana se non addirittura al soglio pontificio come spesso era capitato. Anche perché Bologna, capitale settentrionale dello Stato della Chiesa e dotata di una semi-autonomia nei confronti di Roma, il cosiddetto “governo misto”, costituiva un importante trampolino di lancio per gli alti prelati con forti ambizioni di carriera.
Manco a dirlo in molti di questi banchetti fa la sua apparizione la Mortadella che, come genuina ambasciatrice di Bologna e della sua tradizione salumaria, veniva a dare emblematicamente il benvenuto della città all’autorevole ospite.
Un esempio fra i più significativi al riguardo è offerto dall’opulento banchetto organizzato a Castel San Pietro il 24 novembre 1629 in onore del card. Antonio Barberini, nipote di papa Urbano VIII che l’aveva destinato come suo Legato a Bologna. Vi presero parte trenta commensali che col primo servizio di credenza assaporarono: torte di pistacchi, cedri freschi, dolci di pasta sfoglia mirabilmente lavorati; gelatine di vari colori, pasticci di vitello freddi un piatto reale di burro siringato; cantucci imbevuti di Malvasia entro tazze dorate e tante altre specialità. Su tutto dominava un tripudio di Mortadella affettate che, assieme a fette di prosciutto, faceva corona a una lingua vaccina lessata e argentata. Sempre a Castel San Pietro si svolse pochi anni dopo il 13 ottobre 1652 un’altra bisboccia per dare l’arrivo del card. Giovanni Girlamo Lomellini prescelto da Innocenzo X quale nuovo Legato di Bologna. Dell’opulenta imbandigione ci restituisce memoria un documento con la lista delle vivande conservato nell’Archivio Gozzadini della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna.
Logicamente tra le leccornie proposte, presentata su grandi vassoi con figure intagliate, troviamo la Mortadella che con la sua delicatezza doveva procurare un piacevole contrasto gustativo col “prosciutto piccato” e con la “coppa infetta” che faceva da contorno.
Ad utilizzare ampiamente la Mortadella per i suoi simposi nobiliari fu Giuseppe Lamma, un valente cuoco bolognese attivo nella seconda metà del ‘700 (di cui abbiamo pubblicato nel 1988 l’inedito ricettario). Lo attestano in modo inequivocabile i menù di vari pranzi” firmati” dall’estroso maestro cuciniere. In qualche caso si tratta di elencazioni di vivande suggerite dal Lamma per banchetti o per particolari contingenze (i giorni di astinenza, quelli di festa, la stagione estiva, ecc.) e la loro orditura si presenta nel complesso abbastanza semplice.
Altre volte vengono sciorinate lunghe liste, stracolme di piatti succulenti e impegnativi, relative a ghiotte imbandigioni in onore di gonfalonieri e cardinali legati o per sfarzosi pranzi nuziali e altre aristocratiche bisbocce.
La Mortadella, abbinata a salame fiorentino su fronde di lauro regio e spicchi di limone, fa il suo debutto nel primo servizio di credenza del “desinare in campagna”, allestito nella seconda metà del ’600 nella villa del marchese Ugo Pepoli a Casalecchio dei Conti. Ospiti d’onore il cardinal Legato Bonacursio Buonaccorsi, il Vicelegato Ferdinando Strozzi e altri nobili.
ll Lamma fu l’abile regista di numerosi altri ricevimenti in ville e palazzi nobiliari. In molti di essi il bravo cuoco mise in cartellone ridondanti piatti di Mortadella a fette su letti di verdura e fiori con contorno di fichi ghiacciati, ricette e rifreddi assortiti.
SERVITA IN VARI MODI: “SPACCATA”, “SFILATA” “GRATTATA”
La celebrità del Lamma varcò anche la soglia della clausura monastica. Lo conferma il ‘desinare” che il nostro realizzò per le suore del convento della SS. Trinità in via S. Stefano a Bologna in occasione della festa della loro chiesa, celebrata la prima domenica dopo la Pentecoste. Anche per le buone monache, abituate a una cucina piùttosto parca, non poteva mancare l’assaggio di un alimento raro e costoso, riservato ai ricchi crapuloni, come la Mortadella che fu ingentilita con un trionfo di foglie e fiori e accompagnata da torte sfogliate, fragole, formaggio grana, carciofi, cotognate, ecc.
Un tripudio di “Mortadella spaccata”, ossia tagliata a metà in due parti e spezzettata in scaglie all’interno (come si fa anche oggi con le forme di parmigiano servite nei buffet), disposta sopra foglie di vite e fiori con salame attorno, torna alla ribalta in un altro “desinare” allestito dal Lamma con capponi, pollastrelle, galline e tacchini cucinati in vari modi.
Certamente più strepitoso fu il banchetto preparato dallo stesso cuoco attorno al 1680 per il matrimonio di Giuseppe Maria Zagnoni nel suo palazzo di via Castiglione. Tra le tante vivande gli invitati gustarono l’immancabile Mortadella a fette inframezzata da “salame fiorentino con una rama in mezo di fiori e attorno rabeschi di pasta di zucchero e amido toccati d’argento” che vennero a glorificare il pur già nobile salume petroniano.
Testimonianza inconfutabile della sua aristocraticità e della sua consacrazione definitiva è anche l’inserimento della Mortadella di Bologna nel «pranzo d’amatore” di Parigi all’inizio dell’800 accanto ai prodotti-simbolo francesi, alla bistecca inglese, al manzo d’Amburgo e agli italianissimi maccheroni e parmigiano.
In molti banchetti dei secoli XVII e XVIII la Mortadella veniva servita sia “sfilata” (ossia affettata da abili maestri di coltello che riuscivano a ottenere fette di straordinaria sottilità come imponeva il gusto bolognese) sia “grattata” vale a dire sbriciolata con la grattugia di una volta, quella dai fori grandi, che serviva per tritare il formaggio grana ma anche i pani di zucchero per ottenerne una grossolana semolatura. Tanto l’affettatura manuale che la grattugiatura, grazie all’attrito del salume con il coltello o con la grattugia provocavano un live riscaldamento che permetterà una seppur minima liquefazione del grasso degli “occhi” della Mortadella conferendole un sapore migliore. Un risultato che non si ottiene dall’abitudine invalsa da un trentennio di servire la Mortadella tagliata a cubetti, una pratica che, oltre a non facilitare lo scioglimento del grasso, crea un effetto non piacevole al palato quando si addenta celato all’interno un intero lardello.