Mortadella “dipendenti”
La Mortadella ha provocato non pochi fenomeni di esaltazione gustativa e una sorta di dipendenza alla stregua di una vera e propria droga, per fortuna benefica anche nel caso di…overdose perché l’unico rischio è quello di una digestione pesante o, al limite, di una colica liberatoria.
Ne offrono una simpatica testimonianza alcuni scrittori dei secoli passati che hanno voluto tramandare ai posteri il loro amore irresistibile per il delizioso insaccato.
Ecco come, alla metà del ’500, il letterato milanese Ortensio Landi, viaggiatore e buongustaio, giù studente dell’Alma Mater, volle immortalare la bontà e le virtù quasi taumaturgiche dei salumi petroniani, soprattutto delle Mortadelle che allora venivano anche chiamate col termine “salciccioni”, che riecheggiava l’espressione francese saucissons: “a Bologna si fanno i salciccioni migliori che si possano gustare. Si mangiano crudi, si mangiano cotti a tutte le ore del giorno. Essi aguzzano l’appetito e fanno sembrare il vino saporitissimo anche se è svanito. Benedetto chi ne fu l’inventore: io bacio e adoro quelle virtuose mani. Ne solevo portare sempre in saccoccia per aguzzare la voglia del mangiare se, per sventura svogliato mi ritrovava”.
Altrettanto entusiastico è il panegirico che ne tesse Andrea Calmo, atta comico e scrittore veneziano del sec. XVI. Dopo aver definito Bologna “mare di studiosi, luogo fruttifero pien de salcizzoni e sopresse, con le mior torte de Italia e vin gustoso e stomegal”, aggiunge: “l’è forza che diga, che rasona e che predica de quelle salcizze e de quelle carni tanto preziose, tanto savorose e tanto ben conzate hor chi no ghe piaze, chi no che sa bon, chi no talenta stanziar in Bologna, è privo del gusto, del sentimento e de ogni iudizio”.
Non meno lusinghieri sono i versi con cui il grande poeta popolare Giulio Cesare Croce, vissuto fra il sec. XVI e il XVII, esalta gl’insaccati suini petroniani. Ma essendo nato nel contado bolognese, a S. Giovanni Persiceto, non poteva che cantarne le lodi. Ecco comunque la terzina, pressoché dimenticata, che figura nell’operetta La sollecita et studiosa Academia de Golosi, “nella quale s’intendono tutte le loro Leccardiane Scienze, con un compendio di tutti i buon bocconi e vini che sono compartiti in tutte le città del mondo et gl’inventori del cucinare esse vivande”.
I veri intenditori, gli appassionati della buona tavola, scrive il Croce, “San ch’ìn Bologna si son sempre usati i miglior salciccion ch’in tutto il mondo si faccino e da ognuno son celebrati”.
Quasi del tutto sconosciuto è anche il peana alla tradizione salumaria bolognese contenuto nel commento del Grappa (pseud. di Angelo Nannini) sopra la canzone cinquecentesca di Agnolo Firenzuola In lode della salsiccia, apparsa nel 1547.
Stiamo a sentire: “O Bolognesi, i vostri salsiccioni, massime messi in grasso e buon budello, non sono ei proprio un cibo da poeta?
Tutti i prelati ricchi È Signor buoni, gli uomini dotti e quei c’han buon cervello, ogni bella e gentil donna discreta, spendon la lor moneta più volentier nè vostri buon cotali…”
Anche il viaggiatore fiammingo Andreas Schott nel suo Itinerario italico, uscito nel 1622, scrive che le Mortadelle e i salumi bolognesi “non hanno pari in tutto il Paese”. Gli fa eco il Nouveau voyage d’Italie del francese Francois Deseine, pubblicato alla fine del sec. XVII, dove si legge che “gli insaccati di Bologna sono rinomati in tutto il mondo per la loro prelibatezza”.
Alla fine ’600 la Mortadella suscitò l’entusiasmo della Principessa Palatina e di sua nipote, duchessa di Berry, figlia del reggente di Francia Luigi Filippo, nel 1718.
Elogiativi sono anche i giudizi di altri due viaggiatori transalpini del sec. XVIII: Charles De Brosscs, presidente del Parlamento di Borgogna, e joseph Iéromc dc Lalandc. II primo esalta i “salsiccioni bolognesi”, che egli gustò in una maniera favolosa”; il secondo dviinisce “di straordinaria finezza” I salumi e specialmente la Mortadella, “un tipo di ottime salsicce di stupendo sapore”.