Gioacchino Rossini passa mezzo secolo di vita a Bologna e si innamora della Mortadella e dei tortellini

Pochi sanno che uno dei più grandi musicisti di ogni tempo, Gioacchino Rossini, trascorse la maggior parte della sua vita sotto le Due Torri, dove si era fatto costruire un bel palazzo e dove possedeva ville e terreni tanto da qualificarsi “cittadino bolognese d’elezione”. Senza contare che, sempre a Bologna, si sposò due volte, con la soprano spagnolo, Isabella Colbran e con la parigina Olimpia Pellissier. Questo lungo sodalizio con la patria della Mortadella gli permise di conoscere a fondo e di apprezzare le preziose sfumature di sapore dell’impareggiabile salume petroniano di cui era ghiottissimo assieme ai tortellini che produceva personalmente nella sua “fabbrica”
Trasferitosi nel 1855 a Parigi, dove visse per 13 anni fino alla morte avvenuta nel 1868, se la faceva spedire sulle sponde della Senna, contribuendo a mantenere alta la fama della regina degli insaccati presso il colto pubblico della capitale francese.

Consapevole di questo suo debole, il giornale Lo spirito folletto, in una vignetta del 1864, che ritrae il compositore a tavola, gli fa esclamare:

“Quei matti dei pesaresi hanno pensato di innalzarmi una statua. Eh, una statua è una gran bella cosa perché procura l’immortalità. Ma se mi avessero mandato un paio di Mortadelle”.

Mortadelle dì Bologna naturalmente, che “maestro conosceva benissimo e che, di tanto in tanto, fanno la comparsa anche nelle sue lettere.

Come in quella all’amico tenore Domenico Donzelli, primo interprete di varie opere rossiniane e testimone alle seconde nozze del compositore, quelle con Olimpia Pélissier (Rossini fu anche il padrino di suo figlio Ulisse). Ecco un brano della missiva scritta da Parigi il 7 febbraio 1826:

“Caro amico.

malgrado che mi tratti da indolente, eccoti il risultato del mio costante operare e della mia amicizia…

Partirai immediatamente da Venezia terminate le recite e andrai a Bologna. Mio padre (e l’avv. Regoli se occorre) ti faranno fare il passaporto per Parigi…

So che I’Otello è andato bene; ne godo molto…

Scrivimi a posta corrente affine che sappia l’epoca precisa del tuo arrivo. Dirai a tua moglie che mi porti una Mortadella, che mangeremo insieme.

Addio Donzellon, ama il tuo affettuosissimo amico. Segretezza sopra tutto.”

Sembra quasi di vederlo il bravo tenore che arriva a Parigi con la sua bella Mortadella sottobraccio e che, dopo avere superato la diffidenza dei doganieri transalpini, la porta al maestro impaziente di assaporarla. Possiamo anche immaginare le esclamazioni di compiacimento alla vista della “rosea” nella sua sensuale nudità, seguite da mugolî di gioia al momento dell’assaggio.
Un’altra sintomatica testimonianza dell’amore di Rossini per la Mortadella e i salumi bolognesi ci viene riferita dal tenore francese Duprez:

«L’autore del Barbiere viveva a Bologna, nel suo paese, occupato a ben mangiare e a maledire i francesi, contro i quali egli era astioso per due motivi: la freddezza con cui era stato accolto il Guglielmo Teli, e il rifiuto di Casa d’Orléans di continuare a erogargli la pensione di quarantamila franchi di cui egli godeva sotto iprincipi Borboni. Rossini, lo sappiamo, non disprezzava il denaro… Aguado, marchese de Las Marismas, appassionato protettore dell’Opéra, che egli sostenne talvolta di tasca sua e, ancor più, grande amico di Rossini, scrisse all’illustre autore per chiedergli un nuovo capolavoro. Egli mi mostrò la lettera al momento della spedizione. Tre mesi dopo, trovandomi a casa sua, gli chiesi se avesse ricevuto risposte da Rossini. ’L’ho appena ricevuta: mi rispose il marchese. Ecco all’incirca in che cosa consisteva:

“Mio caro marchese, ho fatto preparare per voi la più bella Mortadella e il più bel salame di Bologna che sia dato mangiare. Ve Ii spedisco. Dite al vostro chef di prepararli in questa e quella maniera, di servir/i a un certo punto del pranzo, di annaffiarli con il tal vino, e vedrete che mi darete presto buone notizie»

ONORIFICENZE? MEGLIO DEI BUONI SALUMI!
Al “capolavoro” che gli era stato chiesto di comporre Rossini non fece alcun at cenno e il povero Aguado, che era pure un facoltoso banchiere, dovette definitivamente rinunciare anche se non rimase proprio …a bocca asciutta, dato che potè consolarsi con una deliziosa Mortadella bolognese. L’episodio si svolse attorno nel 1830.

Sempre in questo periodo il marchese Aguado, al quale il ghiotto Rossini si era rivolto per ottenere certi dolciumi spagnoli, fece giungere al compositore la croce di cavaliere di un ordine equestre iberico. Rossini, visibilmente contrariato, restituì la decorazione, affermando che per i suoi gusti quel tipo di dolce era “troppo indigesto” e che, in quanto alle croci, ne aveva già abbastanza nella vita.
Per un “infortunio” analogo, ma questa volta legato ai succulenti insaccati emiliani, Rossini non esitò a biasimare un nobile della corte ducale di Modena che, credendo di gratificarlo, gli aveva inviato a Parigi un titolo onorifico estense anziché un saporito salume come richiesto. Stiamo a sentire:
“Signor Conte, chiesi dei salumi e non già delle onorificenze. Di queste ne trovo ovunque; I salumi Invece sono una vostra specialità. Vi rinvio brevetto ed Insegne?

Alle Mortadelle, ma questa volta in senso ironico con allusione a Bologna, Rossini, fa cenno in una lettera scritta sotto le Due Torri il 12 febbraio 1842 e indirizzata al violoncellista Giovanni Vitali, uno dei più cari amici del grande musicista, dal quale riceveva abbondanti scorte di tartufi e olive di cui era golosissimo.

“Mio benefattore. Ho ricevuto i nuovi tuoi doni in perfettissima condizione: ma, per Dio, vuoi tu soffocarmi di generosità? Mangeremo dunque queste bellissime trifole, ma tu non sarai dè nostri:

ecco ciò che mi addolora…

Una occasione ora va a presentarsi per vederti se volessi, in unione di tuo figlio, venire a Bologna: si tratta di eseguire lo Stabat Materi Pochi sono i violoncelli in questo paese di Mortadelle: che fortuna sarebbe l’avere il rinforzo dei tanto celebri Vitali. Cosa ne dici?”

Le bisbocce a base di salumi bolognesi, tanto care al suo palato, sono ricordate da Rossini in una lettera a Laudadio Della Ripa, un pesarese residente a Firenze, inviata il 15 ottobre 1850, subito dopo il suo rientro a Bologna dal primo volontario “esilio” fiorentino. Rossini annoverava il destinatario fra i suoi migliori amici e, durante i suoi soggiorni in riva all’Arno, spesso il venerdì sostava a pranzo con lui nella villa di Corniola, vicino ad Empoli, appartenente all’avvocato Salvagnoli. Erano presenti altri illustri compagni di merende, tra cui il prof. Giorgio Regnoli di Forlì.
“Ritrovai Bologna più classica del solito; gli abitanti hanno il muso lungo; le Autorità sono disinvolte e vigilantemente protettrici di questa buona popolazione. lo me la passo modestamente bene coi pochi miei amici…. Oh miei venerdì! Oh mie gite a Loretinol.… Saluta cordialmente il mellifluo prof. Regnoli; digli che si prepari a sostenere una guerra salsamentaria; a suo tempo spedirò salsiccie felsinee e altre bagattelle acciò possa la corona di amici comuni, che onorano la tua mensa, giudicare in merito. Spero schiacciare la Romagna e la tanto celebrata Corniola dell’avvocato Salvagnoli.… “.

CHE BUONI I TORTELLINI (PERCHÈ NEL RIPIENO C’È LA MORTADELLA!)
Oltre che come squisito salume da mangiare nella sua più semplice naturalezza, la Mortadella, a partire dalla metà dell’800, cominciò a essere inserita nel ripieno dei celebri tortellini bolognesi, facendo fare a questo piatto-simbolo della cucina petroniana un decisivo salto di qualità. Rossini ne era un vorace consumatore e spesse volte fa allusione ad essi nella corrispondenza con gli amici. Come in questa lettera risalente al 26 agosto 1843 e indirizzata da Parigi all’amico bolognese

Antonio Zoboli:

“Carissimo amico, meglio tardi che mai. Non volli scriverti prima di essere molto inoltrato nella mia cura onde farti ben conoscere lo stato di mia salute. Trovai una stagione perfida in Parigi, Iocchè si opponeva al completo trattamento medico-chirurgico che mi veniva imposto…

Alla fine di settembre sarò a Bologna e potremo fare le nostre quotidiane passeggiate e mangiare buoni tortellini. “

O come quest’altra spedita da Firenze il 3 gennaio 1850 al tenore Domenico Donzelli:
“Carissimo amico, profitto del ritorno di tuo figlio in Bologna per darti nostre notizie, le quali per la salute sono abbastanza buone; in quanto agli interessi, scellerate, visto la malafede e la perfidia degli uomini che è all’ordine del giorno. Dio provvederà!…

Aggradi i tortellini; ora ti chiedo un favore: vorrei che mi mandassi la ricetta per far fare dal mio cuoco le zeppo/e alla napoletana; m’indicherai gl’ingredienti che occorrono, le proporzioni e quanto fa d’uopo per ottenere la perfezione in tal maniera…

O, infine, come questa inviata da Bologna il 24 febbraio 1851 a Carlo Poniatowski, nobile polacco, uomo politico, tenore e compositore:

“Principe e amico, i guanti di mia ragione che vi sono stati spediti da Livorno debbono restare presso di voi, se non vi dispiace, sino al mio ritorno in Firenze, che avrà luogo ai primi di maggio. . .Da Massaroni, che passò due giorni con me in 80logna, ebbi consolantissime notizie della buona Principessa Elisa: deporrete ai suoi piedi la profonda serie dei miei ossequi. In breve Ie manderò un panierino di tortellini della mia officina.

Questa è una delle ultime lettere spedite da Bologna prima del suo definitivo commiato dalla città, per ragioni di incompatibilità politica, e la scelta di Parigi come dimora per il resto della sua vita. Una decisione sofferta, determinata dal clima di aperta avversione nei confronti del compositore, considerato da alcuni settori dell’opinione pubblica bolognese un codino, legato al retrivo governo papalino, se non addirittura un reazionario che se l’intendeva con gli occupanti austriaci. Già nella tumultuosa primavera politica attraversata dalla città nel 1848 si era verificata una prima dimostrazione ostile da parte di una soldataglia forestiera in marcia verso la Lombardia che indusse Rossini, su insistenza della moglie che non amava troppo vivere a Bologna, a traslocare a Firenze. Ma poi, dietro le calorose preghiere di padre Ugo Bassi, uno dei protagonisti dei moti risorgimentali bolognesi, il musicista fece ritorno sotto le Due Torri, indirizzando il 2 maggio allo stesso padre Ugo Bassi una lettera in cui esprimeva “da bolognese” tutto il suo affetto per la città con parole di forte vibrazione. Eccone un brano:

“Bologna fu sempre il centro delle mie simpatie. Ivi fin dalla mia gioventù, con compiacenza il rammento, appresi l’arte della musica e, mi sia lecita il dirlo col Poeta, “Lo bello stile che m’ha fatto onore”. A Bologna, anche in mezzo alle attrattive e agli applausi delle più grandi metropoli d’Europa, furono sempre rivolti:” miei pensieri, i miei affetti, il mio cuore. In Bologna, ritirandomi dai tumulti del mondo, ho stabilita la mia tranquilla dimora e la mia discreta, e non già, come altri crede, la mia immensa fortuna. ln Bologna ho trovato ospitalità, amicizia, il maggiore di tutti i beni, la quiete degli Ultimi anni della mia vita. Bologna è la mia seconda patria, ed io mi glorio d’essere se non per nascita, per adozione suo figlio”.

BOLOGNA NOBILE PATRIA DI AGGRESSIONI E DI MORTADELLE
Dopo avere lasciato Bologna per trasferirsi a Firenze Rossini, è lui stesso a confessarlo, non riusciva più a dormire né a mangiare. I succulenti salumi petroniani e gli squisiti tortellini di produzione casalinga sono solo un ricordo. Anche sela moglie Olimpia è impaurita e teme per la sua incolumità, nel 1850 il musicista decide di rientrare a Bologna, ma con una scorta armata. La tranquillità dura poco e, un anno più tardi, il 10 maggio, dopo avere subito un nuovo affronto (in invitati abbandonano un ricevimento in casa sua all’arrivo di un alto ufficiale austriaco), Rossini lascia definitivamente la città per sistemarsi prima a Firenze e quindi definitivamente a Parigi, come desiderava la moglie.

Con Bologna si instaura un rapporto di risentimento, quasi di disprezzo, come capita spesso a un amante che si sente tradito nei suoi più forti affetti. Le uniche relazioni sono quelle epistolari con alcuni dei tanti amici lasciati e con gli amministratori delle sue proprietà. Ma da Bologna continuano ad arrivargli superbe “capponesse” per fare il brodo, “tacchini di buona covata”, tortellini, Mortadelle e salumi vari che gli spediscono i fidati Zoboli o Peruzzi mentre altri gli giungono da Modena.

Bologna per lui è ormai soltanto una “nobile patria di aggressioni e di Mortadelle”, come afferma in questa lettera a Ruggero Manna datata Parigi 15 giugno 1861:

“Amico e collega, a volo di posta riscontro la gentilissima vostra per assicuravi non avere io raccomandato alcun concorrente al posto di Direttore al Liceo di Bologna (nobile patria di aggressioni e di Mortadelle!!)

Il mio consiglio è quello di restare presso Ia buona madre vostra e non agognare ad una carica che potrebbe avvelenare i vostri giorni preziosi. Conosco voi e conosco Bologna‘

“CHE FATICA LA CELEBRITÀ! FELICI I SALUMIERI!”
Concludiamo con un aneddoto che rivela, se mai ce ne fosse ancora bisogno, il rapporto quasi simbiotico che legava Rossini alle specialità salumarie, tanto da fargli rimpiangere almeno così confessa in un momento di disarmante intimità di non avere fatto il pizzicagnolo. Ecco come racconta l’episodio l’Azevedo, amico e principale biografo del compositore:
Una mattina Rossini, irritato e stanco di dover stilare varie lettere di raccomandazione e di vergare con la sua firma tanti ritratti, esclamò:

“Dio mio, che fatica la celebrità! Felici i salumieri!”

“Perché non dedicarsi allora a questo mestiere gli rispose Azevedo, aggiungendo: “Voi avete sicuramente delle predisposizioni, perché quando eravate bambino, a Bologna, stavate a pensione da un salumiere

“Ne avevo voglia a quei tempi rispose tutto serioso Rossini ma non mi fu possibile e non per mio errore, ma perché fui mal orientato!”

C’è da scommettere che, se oggi Rossini tornasse al mondo, per rifornire di leccornie la sua dispensa ricorrerebbe ancora a Bologna. A quella che fu la sua vera patria adottiva dove si trovano tuttora alla Certosa le sepolture dei suoi genitori e dove aveva gli amici più intimi coi quali si intratteneva in laute riunioni conviviali a base di specialità tipiche, principalmente di tortellini e di Mortadella.