Antiche Razze Suine

I maiali allevati nei secoli passati nel territorio bolognese erano di specie molto dissimili da quelli di oggi, che derivano da quelli originari dell’Inghilterra importati in Italia nell’800. Durante il Medio Evo l’allevamento per lunghi periodi di branchi di maiali nei boschi di ghiande allo stato brado dette luogo a una razza incrociata col cinghiale. Quindi un animale con un grifo appuntito, non piatto come è attualmente, con due zanne sporgenti, piccole orecchie ritte, setole irte sulla schiena, zampe allungate e nerborute. Lo testimoniano alcune preziose immagini racchiuse nei codici miniati medievali.

La stazza era molto diversa da quella dei maiali dei nostri giorni. Il peso oscillava fra poco più di 30 kg a un massimo di 80.

Il colore non era uniforme ma poteva andare dal marrone al rosso cupo fino al nero. Alcuni viaggiatori stranieri di passaggio per Bologna verso la fine del ’700 notarono ancora nelle campagne la presenza di un curioso genere di suini dal folto pelame rossiccio. Di questa razza particolare, ritenuta più adatta ai climi temperati e fornitrice di carni più leggere, e delle altre allevate in passato nel territorio bolognese non esiste più traccia da lungo tempo.

Proprio i maiali rossi erano alla base della preparazione dei celebri salumi bolognesi. L’erudito Ovidio Montalbani nel 1661 scrive che la Mortadella “si deve far di carne scelta muscolosa di quella sorte di porci descritta da Columella e dal nostro Crescenzio bolognese come quell’ottima che accennò Ippocrate, e non d’altra”.

Per la produzione salumaria veniva utilizzato anche il maiale “cintato”, così chiamato dalla striscia bianca che fasciava a metà il corpo, di cui ci offre una interessante testimonianza il pittore bolognese Giuseppe Maria Crespi nelle incisioni del Bertoldo. Nel Bolognese non ne esiste più traccia dalla fine dell’800 mentre da alcuni anni ne è stato ripreso con ottimi risultati l’allevamento in Toscana con la cinta senese.

Paolo Predieri, nel suo Studio storico comparativo intorno al consumo delle carni nella città di Bologna, pubblicato nel 1858, ci offre un riscontro preciso del numero di maiali macellati a Bologna dal 1819 al 1856. Il minimo si registra nel 1832 con 5819 e il massimo con 8944 nel 1820.
Per l’anno 1855 il primato, esclusa Bologna (2100 maiali), appartiene con 1767 capi a Castelfranco che riconferma l’antica vocazione nella lavorazione carni suine.

Fino al secolo XIX, come rivela il salsamentario Gaetano Samoggia, i produttori di insaccati bolognesi acquistavano “maiali di buon peso e di un ingrasso perfetto”, soprattutto nei mercati del Faentino, del Forlivese, del Cesenate, di Lugo e Bagnacavallo e di altri centri del Modenese e della Toscana. Dalla Val di Chiana e dal Val d’Arno si importava la cinta ossia, come ricorda il Samoggia, “maiali con mantello nero-cenerino, variato da strisce bianche alla cintura e più spesso alla testa e alle gambe…di natura placida, per cui risultano vantaggiosi in ogni rapporto oltre a ciò non si stancano mai di mangiare, anche ridotti al massimo punto d’ingrasso”.

Una attenta riflessione sui motivi della fortuna degli insaccati petroniani, in primo luogo la Mortadella, è quella fatta da Romano Zessos (Storia dei macellai bolognesi, 1938) per il quale sono stati proprio i suini della razza bolognese a dare fama alla Mortadella. “La razza suina prettamente bolognese scrive Zessos di diretta derivazione dall’antica iberica, occupava un’area più vasta di quella parmigiana perché oltre al proprio terreno, si stendeva parte sul terreno Modenese, parte su quello di Reggio Emilia, invadendo anche la provincia di Mantova e la regione veneta ove viveva frammista alle razze lombarde e alle bergamasco-bresciane. È un gran peccato che i meticci yorkshire, introdotti nel 1872, esageratamente lardosi, abbiano preso il sopravvento».